Io lo so che faccia fate quando vi dico letteratura erotica, vi vedo.

Purtroppo i casi editoriali e la cultura di massa tendono a declassificare questo tipo di pubblicazioni che, al contrario, riservano perle di alto valore letterario che nulla o poco hanno da invidiare ad altri titoli di letteratura non di genere.

Oggi voglio parlavi di un libro di vera letteratura erotica, non dell’ultimo Harmony uscito in edicola o Le cinquanta sfumature del caso.

Il rischio di ciofeca è comunque bello alto, perché scrivere narrativa di genere ha i suoi rischi e le sue difficoltà date tanto dai pregiudizi quanto dai paletti che il genere stesso impone (lettori di fantasy all’ascolto, state annuendo vero?); per questo occorre scavare e testare con elmetto e giacca catarifrangente.

Devo dire che questa volta mi è andata bene.

Parliamo infatti di Thèrése e Isabelle di Violette Leduc.

Il titolo ha avuto una storia editoriale travagliata a causa del contenuto ritenuto troppo esplicito negli anni della sua iniziale pubblicazione (siamo negli anni Sessanta del Novecento).

Thèrése e Isabelle si può catalogare come un memoir in quanto racconta quella che fu la prima fervida esperienza sessuale dell’autrice (il cui secondo nome è, appunto, Thèrése) con una coetanea all’interno di un collegio femminile francese.

L’esperienza fu talmente intensa e totalizzante per la Violette/Thèrése diciassettenne che il libro che ne è nato non poteva che essere di una sensualità talmente densa da avvolgere il lettore in un tepore da bagno caldo.

Non è possibile riassumere una trama vera e propria in quanto la vicenda si esaurisce negli incontri notturni delle due amanti con qualche variazione sul tema dato dai momenti in cui le giovani si guardano da lontano desiderandosi, ma mi sento a mio agio nel dire che non è per il contenuto che consiglio la lettura di questo libro, bensì per il suo stile.

Siamo di fronte ad una scrittura che ha più a che fare con la poesia che con la prosa, fatta di immagini sfuocate, di dialoghi che non hanno senso nella sequenza narrativa, ma sono come sospiri tra un’inquadratura e l’altra, tra un frame e l’altro.

La scelta delle parole e delle analogie suggerisce uno stile aulico, altamente evocativo.

 “Ci stringevamo ancora, volevamo farci inghiottire. Ci eravamo spogliate della famiglia, del mondo, del tempo, della ragionevolezza. Volevo che Isabelle, stretta al mio cuore spalancato, ci entrasse dentro. L’amore è un’invenzione che sfinisce. Isabelle, Thérèse, ripetevo per abituarmi alla magica semplicità dei due nomi.”

Inoltre, durante la lettura, mi sono sentita catapultata al mio ultimo anno di Liceo, quando mi crogiolavo nello studio dei poeti decadenti, che descrivevano l’amore come una sorta di anticamera della morte. I ricorsi alla morte infatti non si contano.

“Avevamo creato la festa dell’oblio del tempo. Stringevamo contro di noi le Isabelle, le Thérèse che si sarebbero amate domani con altri nomi, finivamo di spegnerci nello scricchiolio e nel tremito. Allacciate, siamo rotolate giù per una china di tenebre. Abbiamo cessato di respirare per fermare la vita e per fermare la morte. Entravo nella sua bocca come si entra in guerra: speravo di saccheggiare le sue viscere e le mie.”

Mi sento dunque di consigliare questo testo se si ha voglia di alta letteratura, se si ha voglia di poesia e di suggestioni particolari. Se si ha voglia di emozionarsi non tanto per il tema esplicito, quanto per la sua sublime interpretazione attraverso le parole.