“Sì, il buon vecchio spavaldo Vaffanculo americano: questo è quanto per il figlio del macellaio, morto tre mesi prima del suo ventesimo compleanno: Marcus Messner, 1932-1952, l’unico dei suoi compagni di corso tanto sfortunato da restare ucciso nella Guerra di Corea, terminata con la firma di un armistizio il 27 luglio 1953, undici mesi prima di quando Marcus, se fosse stato in grado di mandar giù le funzioni in cappella e di tenere la bocca chiusa, si sarebbe laureato al Winesburg College – più che probabilmente come migliore del suo corso – rimandando così il momento di imparare ciò che il suo incolto padre aveva tanto cercato di insegnargli: il terribile, incomprensibile modo in cui le scelte più accidentali, più banali, addirittura più comiche, producono gli esiti più sproporzionati”.
Ho questo rito prima di cominciare un nuovo libro: leggo l’ultima pagina
Non serve a farmi grossi spoiler, dato che poi me la dimentico appena pongo la mia attenzione sulla pagina uno, ma mi piace farlo, è come entrare in una casa di sconosciuti dal camino: ci sbirci dentro a testa in giù e mica ci capisci granché sull’arredamento o gli abitanti, ma qualche dettaglio, magari, ti rimane inspiegabilmente impresso.
Anche se non avessi praticato il mio rito propiziatorio alla lettura, da subito Philip Roth in Indignazione avrebbe messo le cose in chiaro: Marcus Messner, il protagonista, rimarrà ucciso nella Guerra in Corea, non prima di aver attraversato tutte quelle vicende umane che fanno parte della vita non solo dei giovani americani ebrei degli anni ’50, ma anche noi giovani lettori adulti di settant’anni dopo.
Marcus proviene infatti da una famiglia ebrea: il padre è membro della Federazione dei Macellai Kosher del New Jersey e la madre, donna forte ma affabile, lavora nell’attività di famiglia. Marcus è il primo della sua cerchia familiare a poter ambire ad un’istruzione universitaria (frequenterà il Winesburg College), possibilità che il ragazzo si tiene stretta studiando sodo, rigando dritto e offrendo il suo aiuto al padre lavorando in macelleria dall’età di dieci anni; insomma, Marcus è quello che potremmo definire proprio un bravo ragazzo.
Il giovane è giustamente (da intendersi in senso di equilibrio, senza accezioni giudicanti) ambizioso e si allontana da casa per frequentare il Winesburg College dove procede tra un’esperienza comune e l’altra: lo studio, gli screzi con i compagni di stanza, il pompino nella LaSalle nera di Elwyn di una disinibita e criptica Olivia e di conseguenza l’amore (si sa che l’amore parte sempre da un pompino in auto).
Sull’amore e sul desiderio con i libri di Philip Roth si va sul sicuro dato che è una tematica immancabile negli scritti dell’autore americano. Le attenzioni sentimentali (e sessuali) del nostro protagonista sono rivolte ad una ragazza che lo colpisce per la «scriminatura fra i suoi deliziosi capelli […] e la sua gamba sinistra che, accavallata sulla destra, dondolava ritmicamente su e giù» più che per la cicatrice sul polso, segno inequivocabile di una ragazza apparentemente inadatta a fare da compagna all’integerrimo Marcus (e alla sua famiglia).
Se ci approcciamo a questa storia all’apparenza normale ci dobbiamo preparare tuttavia ad essere avvolti dalla pesante coperta del destino che aleggia sul personaggio principale. La guerra di Corea (che per inciso determinò una delle fasi piu pericolose e drammatiche della Guerra Fredda) fa sempre da sfondo, inibendo le nostre speranze di un happy ending per Marcus. Tutto ci parla di un’imminente catastrofe: la sensazione profetica del padre che si manifesta in un atteggiamento di controllo patologico sul ragazzo, il ruolo simbolico del sangue (col quale Marcus ha sempre avuto a che fare in macelleria) e le stesse riflessioni di Marcus sulla morte, rivolgendosi al lettore, trapassando la quarta dimensione.
A cosa si riferisce dunque l’indignazione del titolo?
L’indignazione di Philip Roth è un sentimento profondo che viene citato in quello che a Marcus viene spiegato essere «l’inno nazionale dei nostri alleati cinesi nella guerra scatenata dai giapponesi» e che lui ripete come un mantra durante i lunghi sermoni ai quali è costretto a dare ascolto durante le funzioni religiose obbligatorie al college.
É l’indignazione per le regole bigotte e anacronistiche dell’istituzione universitaria.
L’indignazione per un padre soffocante.
L’indignazione per un amore fuori dai canoni.
L’indignazione per una vita sacrificata.
Il fascino di questa storia non è il cosa succederà, ma il come i nodi di un’esistenza normale si stringano per creare quel cappio che, a soli diciannove anni, ha stretto il collo di Marcus Messner.