Si può partire a scrivere una recensione con questa sensazione di annichilimento? Sì, si può se il libro è stato annichilente. E per annichilente intendo brutto.
Ebbene sì lettori e lettrici, ho fatto una pessima lettura, ogni tanto capita. E’ la legge dei grandi numeri: più leggi più affini i tuoi gusti… ma nel grande calderone ci sarà anche qualche pessima lettura.
Andiamo per ordine: siamo ad inizio anno e tra diete durate una settimana e buoni propositi di risparmi sfumati al primo giro in libreria, viene pubblicato per Bompiani un libro che fa immediatamente parlare di sé. Vuoi perché l’autore era reduce dal grande successo de L’invenzione della Madre (edito per Minimum Fax nel 2015), vuoi che la casa editrice ha avviato una buona campagna marketing, vuoi che il mondo dei libri sui social ne ha ampiamente discusso, insomma, il libro ha grande visibilità.
Mi incuriosisce da subito lo spunto di trama: inverno 1997. A Lanzo Torinese, un paesino della montagna piemontese, Sonia, la ragazzina protagonista, diventa testimone inerme di una misteriosa epidemia che porta gli abitanti a prendersi letteralmente a morsi procurandosi una lenta ed animalesca morte auto inflitta.
Un po’ brutale vero? Ecco perché mi ha incuriosita (Sì, troverò uno psichiatra bravo).
Peccato che dopo le prime venti pagine avevo già capito l’andazzo. La scrittura mi è apparsa da subito piuttosto ingenua, costellata di immagini cliché e prevedibili. Dico cinque parole per esemplificare il mio pensiero: la-tazza-con-le-stelline. MA VI PREGO.
Ho trovato poi alcuni punti che stilisticamente parlando sembrano degli errori. Quando Sonia, ad esempio, trova il la carcassa di una gallina della nonna dalla quale è costretta suo malgrado a passare le vacanze di Natale, senza testa (immagine forte, apprezzata), non serve che tu mi dica anticipatamente che la ragazza nota che c’è qualcosa che non va! In questo modo mi metto già in allarme e la tua suggestione perde di mordente. Immagina che shock se non me l’avessi detto. Hai perso un’occasione. Ma anche più di una.
Focus rapido sui personaggi e sul perché non hanno funzionato: Sonia, la protagonista. Un po’ infantile per essere una ragazzina delle medie ma erano gli anni Novanta, ci può stare. Sopravvive all’epidemia di cannibalismo insieme a Teo, ma non si capisce esattamente perché. E’ suo il POV principale.
Teo. Inizialmente trasmette quella simpatia da compassione, poi basta. E’ il figlio di contadini, quello un po’ sfigato ed emarginato perché a ricreazione sfoggia panini e non merendine e perché parla più dialetto che italiano. Diventa poi antipatico e anche incomprensibile dato che non gli fa nessun effetto condividere la casa con i corpi dei suoi genitori martoriati. Piange mezz’ora e poi è a posto. Ah, ok.
Nonna Ada. Ma io dico, poteva essere la chiave di svolta. Viene suggerito inizialmente che questo personaggio, chiusa nella sua severità, nasconde dei segreti legati al suo essere una masca (il corrispettivo di strega suppongo) Invece sul più bello che fa? Se ne va! Prende la motoretta e se ne va! Ma dove va? Ma a cos’è servito questo personaggio? Chi me lo spiega?
Genitori di Sonia: non pervenuti. Del padre si sa solo che è un ubriacone sfaccendato, aspetto che avrebbe potuto aprire varie porte di riflessione, invece, come tanti dettagli inseriti, è un elemento fine a se stesso.
Vorrei evitare di fare spoiler (anche se, come avrete capito vi sto suggerendo di tenervi alla larga da questo libro) ma l’impalcatura narrativa cede completamente quando il mistero dell’inizio dell’epidemia viene dipanato e viene “spiegato” chi, perché e in quale modo ha fatto partire la follia. La componente magica, irreale, non è del tutto contestualizzata, ci poteva anche stare, ma nel finale prende una piega veramente troppo esagerata e distrugge quanto costruito in tutto il corso del libro. Se la scrittura zoppicante poteva ancora reggersi alla speranza di un finale degno, purtroppo si è ritrovata a carambolare a terra, stremata.
Molti hanno definito questo come un romanzo di formazione, ma forse dovremmo accordarci su questa definizione, perché in questa vicenda i protagonisti non crescono in seguito al superamento di un ostacolo. Sonia e Teo subiscono passivamente gli eventi ed agiscono alla rinfusa. Sonia non scopre il suo potenziale, o meglio, non lo scopre nel momento giusto.
Avrebbe potuto essere forse un passabile romanzo per ragazzi, ma agli adulti non ha nulla da dire.
Ha una componente orrorifica ma non riesce a fare l’horror fino in fondo. Ha una componente mistery ma non ha un finale esplicativo convincente. Vuole essere romanzo di formazione ma i protagonisti agiscono a caso… Questo libro è come Balto, il cane della Amblimation: “Non è cane, non è lupo, sa solo quello che non è”.
Bè, ve lo dico io cos’è. Un libro da non leggere.