Chi è Carlo Menabrea
Carlo Menabrea e prima di lui suo padre sono stati degli innovatori. Giuseppe, il più vecchio dei Menabrea, nato a Gressoney (Valle d’Aosta), aveva dedicato parte della sua vita al commercio di lana in Svizzera per poi, a distanza di 30 anni, buttarsi completamente in un mondo nuovo: la birra.
La sua vita tra famiglia e birra
Carlo eredita la fabbrica Menabrea, ne fa la sua vita. Una vita di viaggi, incontri, di ville lussuose, decorata e arricchita da una moglie (Eugenia) e tre figlie: Eugenia (Genia), Albertina e Maria.
Genia, quella che vedeva oltre, che superava la linea tra cose che si possono e non possono dire e fare.
Albertina, quella ligia alle regole e al rispetto a tutti i costi.
Maria, quella sempre troppo piccola. Troppo piccola per i viaggi, troppo piccola per ricordare il papà dopo la sua morte.
La salita dei giganti: due parole sulla trama
Genia è la protagonista attorno a cui tutta la saga gira. Sarà lei, a 6 anni, l’unica delle 3 sorelle a cui Carlo decide di far provare la birra. Un momento cruciale, indelebile, che non dimenticherà mai.
Carlo vive la vita migliore che potesse costruire: sono gli anni delle esposizioni internazionali, delle scoperte, e la birra è una di queste. Viaggia, Carlo, scopre, vende, acquista. Un cerchio che si chiude con la sua morte da giovanissimo.
Eugenia sprofonda nel dolore di moglie, è come se dalla tomba non ne fosse uscita neanche lei, ma in qualche modo prende le redini della Menabrea e fa in modo che questa continui a crescere.
Crescono anche le figlie tra esperienze e dolori: Albertina si sposa, Genia si sposa. Con Emilio, la cui famiglia (Zimmerman) lavorava la birra.
I due mariti prendono posto alla guida della fabbrica, che in poco tempo triplica la produzione.
Genia avrà 5 figli, una vita che si è fermata con la morte del padre e ricomincia solo con Emilio. Con l’amore che prova per lui, ma presto anche con l’apprensione, la gelosia patologica, il terrore di perderlo, la paura dei tradimenti. Vita che finisce parzialmente con la morte di Emilio, a 38 anni. Come la madre prima di lei, Genia entra in un lutto senza fine, da cui riesce ad alzarsi solo grazie ai suoi 5 figli, da cui ricomincia a prendere i mano i pezzi che della sua vita rimangono.
La salita dei giganti è una storia vera?
La Birra Menabrea esiste, si beve, si trova nei locali. Originariamente non è stata fondata proprio dai Menabrea, ma la acquisiscono da Welf e Caraccio nel 1872.
La produzione ha un grande successo, tanto che Carlo, nel 1882, riceve il titolo di Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia.
Momento svolta: negli ultimissimi anni del 1800 Emilio Thedy e Augusto Antoniotti (coniugi rispettivamente delle eredi Menabrea, Eugenia e Albertina) subentrano in azienda senza però stravolgere nulla e mantenendo intatta la fama e la qualità per poi tutto il secolo.
La famiglia Thedy ha continuato a far crescere l’azienda, tanto da entrare alla fine degli anni ’90 nel gruppo Forst.
Le mie impressioni su La salita dei giganti
Francesco Casolo ha fatto un ritratto perfetto di una storia vera. La Menabrea esiste, esiste la fabbrica, sono esistiti Genia e Carlo. Esistono ancora attraverso quello che è rimasto, compreso Franco, figlio di Paolo Thedy e nipote di Genia. Esistono attraverso le lettere d’amore che Genia ed Emilio si sono scritti, esiste chi li ha supportati nel fare la loro storia.
Una scrittura indimenticabile, una storia con un ritmo coinvolgente, una raccolta di parole scritte nel momento giusto, nel modo giusto.
Il racconto dell’evoluzione di una persona da bambina a donna. Una bambina della fine dell’Ottocento: il collegio, la scuola della suore, lo stupore per la nascita del cinema.
Bellissimo il racconto delle sorelle, protagoniste in modo laterale di una storia piena di cuore.
Una storia di gioia e dolore, di amore, di resistenza, di donne.
Un libro pazzesco. Bellissimo in ogni punto.